È facile per
il lettore
esaltarsi
nella
meraviglia,
o
sprofondare
nello
sconforto,
innanzi ai
raffinati
miti
gnostici; le
elaborate
teogonie, le
machiavelliche
cosmogonie,
gli oscuri
nomi, gli
Eoni
infedeli, le
suicide
missioni
salvifiche,
sono gli
ingredienti
comuni ad
ogni scuola
e comunità
gnostica, e
realizzano,
nel loro
eterogeneo
insieme, un
intricato,
quanto
raffinato,
ordito per
mente e
anima.
All'estraneo,
al curioso,
potrebbe
sembrare che
nessuna di
queste
fratellanze
gnostiche
cristiane
avesse
requie fino
a quando non
si
differenziava
rispetto
alle altre
per qualche
peculiarità,
per un nuovo
estroso nome
demoniaco, o
per una
nuova epopea.
Vi è però
differenza
fra ciò che
appare
all'estraneo
e la
sostanza che
coglie
l'adepto, ed
è proprio su
questo
binomio (apparenza
–sostanza)
che si fonda
l'intera
speculazione
gnostica
cristiana.
Prima di
proseguire
nella
trattazione,
è però
necessario
ricordare
come la
comunicazione
gnostica non
ha mai avuto
come
finalizzazione
l'universalità
umana, ma
bensì la
trasmissione
di un
insegnamento
all'interno
della
ridotta
delle
singole
comunità.
Tale
distinzione
ragionevolmente
ci porta a
considerare
che è l'uomo
moderno, il
non gnostico
per
eccellenza,
che deve
sforzarsi di
comprendere
ciò che i
pneumatici
riservavano
ai loro
simili, e
non stupirsi
per la
presunta
incomunicabilità
di questi,
che
certamente
non volevano
e non
potevano
parlare per
colui che
giunto quasi
duemila anni
dopo.
Il mito
racconta una
storia
sacra;
riferisce un
avvenimento
che ha avuto
luogo nel
tempo
primordiale,
il tempo
favoloso
delle
origini
[...] È
dunque
sempre il
racconto di
una "creazione":
si narra
come
qualcosa è
stato
prodotto,
come ha
cominciato a
essere» (Mircea
Eliade ,
Aspects du
Mythe)
Qualcuno,
leggendo uno
dei testi di
Nag Hammadi,
potrà avere
il dubbio
che gli
antichi
gnostici
fossero dei
politeisti
che
antropomorfizzavano
gli Eoni o
gli Arconti,
e che tutta
la saga
della caduta
altro non
fosse che
una
questione di
un amore
divino ai
limiti
dell’incesto:
riducendo
quindi lo
gnosticismo
ad una
versione
romanzesca,
estremamente
elaborata e
sofisticata,
di un
rapporto
amoroso
tragicamente
concluso, in
un’ordalia
bestiale ed
infernale,
fra una
divinità
femminile di
ordine
inferiore e
il Padre del
tutto.
Infine, come
ultima
estensione,
si potrebbe
essere
successivamente
tentati di
fornire una
spiegazione
psicologica
o di creare
archetipi di
interpretazione
psicanalitica
proprio
attraverso
lo
gnosticismo,
ipotesi
questa che
potrebbe
trovare
ulteriore
alimento
dalla
constatazione
che lo
gnostico si
ritiene
straniero
alla
creazione,
ed il suo
continuo
anelare ad
un mondo
superiore di
eterno
equilibrio
potrebbe
suggerire
una qualche
forma di
rifiuto,
alienazione
o di
dissociazione
da leggersi
proprio
attraverso i
miti
proposti.
A mio
avviso è
questa una
strada
veramente
impervia ed
errata. In
realtà ogni
mito umano
è, in lucida
analisi,
l’estremo e
ardito
tentativo
della
capacità
dell'uomo di
rappresentare
il perché
della
propria
esistenza,
ricostruendo,
su di un
tessuto non
logico ma
immaginifico,
quella
catena di
esistenza,
rimembranza
e sostanza
di cui egli
si sente, e
vuole,
essere
anello.
È nella
natura umana
leggere il
mondo
circostante,
dare ordine
allo stesso,
creare dei
punti fermi
di relazione
e tracciare
la propria
posizione
presente,
passata e
futura.
Ovviamente
tale
rappresentazione
comprende
elementi
reali,
sensibili,
interpretativi
e
speculativi.
Tutto ciò si
accentua e
si amplifica
in modo
esponenziale,
man mano che
ci
allontaniamo
dalla
semplice
interpretazione
e
comprensione
di quanto
afferisce il
quotidiano,
il consueto
e
l’esperienziale.
Fino a
giungere
alla
decadenza di
ogni sistema
logico
dialettico,
nel
tentativo di
rappresentare
uno stato
dell’esistenza
e
dell’esistente
sovrumano:
l’uomo che
si interroga
attorno a
quanto è
altro
rispetto
all’uomo: il
divino.
Ecco quindi
il mito
assumere la
funzione di
vettore,
atto a
deflorare i
viziosi e
angusti
confini in
cui è
relegato il
pensiero
logico-razionale:
vittima dei
suoi stessi
postulati e
della
incongrua e
mutevole
unità di
misura che è
l’uomo
stesso. Il
mito diviene
una via
alternativa,
o meglio
l’unica via,
con cui
colmare
l’abisso
irrazionale
che si
determina
dal riflesso
dell’Esistente
nel Non
Esistente e
giungere
infine alla
Verità
perennemente
eguale a sé
stessa in
cui si
riflette
l’impermanenza
umana.
Nello
gnosticismo
tale
vertigine
del pensiero,
assume
iperbolica
originalità
dalla
peculiarità
“ontologica”
di questo
composito
movimento
spirituale,
iniziatico e
filosofico.
Sappiamo
come la
grande
novità,
incarnata
dallo
gnosticismo,
sia la
rottura di
ogni legame
con la
manifestazione
stessa, non
riconoscendo
ad essa la
dignità di
essere stata
creata da
parte della
vera
divinità, ma
bensì da una
potenza di
ordine
inferiore;
tale
intuizione
porta l’uomo
ad essere
finalmente
arbitro del
proprio
destino, in
lotta
perenne
contro forze
titaniche
che altro
non sono che
forme
particolari
di quella
manifestazione
che, nella
sua
integralità,
è avversa ed
ostativa al
desiderio
gnostico di
ascesa.
Lo gnostico
credendo che
la creazione
sia
ingannevole,
non ha fede
verso il dio
che l'ha
partorita.
Esso
intuisce in
sé una
particola
elementare,
che lo
ricollega ad
un piano
superiore,
precedente a
questa
manifestazione
sensibile;
in ciò
possiamo
trovare
forti
richiami sia
al pensiero
cabalistico
delle
origini, che
del resto è
stato
fortemente
influenzato
dallo
gnosticismo,
sia ad una
parte del
pensiero
platonico,
che a taluni
tradizioni
orientali
quali il
taoismo.
Comprendiamo
quindi che
lo
gnosticismo
si collega
da un lato
in modo
trasversale
rispetto a
movimenti
religiosi-spirituali,
e che
dall'altro
si pone in
quella
tradizione
metafisica
che tratta
ciò che è
reale ed
irreale
rispetto
alla
capacità
dell'uomo di
realizzarsi
attraverso
il risveglio
interiore.
In tale
ottica ecco
quindi che
la
manifestazione
eonica è un
costrutto,
un
immaginario
utile a
raffigurare
una
moltitudine
di psichismi
atti a
spiegare
cosa è
l'uomo e
quale
dovrebbe
essere il
suo tendere
oltre la
natura e il
tempo.
Il degradare
degli Eoni,
la rottura
della divina
sizigia (la
coppia
maschile/femminile
eonica),
altro non è
che
l’idealizzazione
simbolica,
perla in un
racconto
mitologico,
atta a
rappresentare
il passaggio
da un mondo
di pienezza
e realtà, ad
un mondo di
frammentazione
ed irrealtà.
Il problema
che si trova
innanzi un
lettore
moderno
dello
gnosticismo,
è relato
all’evidenza
che oggi
siamo
abituati a
comunicare
in forma
enunciativa;
la parola ha
perso
completamente
ogni valore
simbolico ed
evocativo,
risultando
incapace di
stimolare
l'immaginazione
del lettore.
La nostra
lente di
lettura è
piatta e
povera, e
difficilmente
comprendiamo
che in
epoche ed
ambiti
diversi dai
nostri la
comunicazione
poteva
avvenire in
altre forme
e modi;
anche negli
ambienti in
cui si
pretenderebbe
di
comunicare
in chiave
simbolica,
si tende, a
causa della
ridondante
verbosità, a
confondere
il simbolo
con il segno,
collassando
in una ridda
infinita di
suggestioni
e
fraintendimenti.
L'inadeguatezza
dell'uomo
contemporaneo,
quando si
avvicina
allo studio
del mito
gnostico, ha
molteplici
cause. La
prima
riguarda la
contestualizzazione
dell'oggetto
trattato.
Causata
dall'essere
completamente
digiuno
attorno alle
forme di
comunicazione,
il binomio
mythos e
logos, e
alle
categorie
concettuali
in cui si
articola la
dialettica
tradizionale.
La seconda è
la pretesa
che
l'interno
scibile
umano debba
essere
piegato alle
sterili e
lamentose
inadeguatezze
del singolo:
ciò si
traduce
nella
presunzione
che tutto il
cosmo, tutta
la creazione
e il divino
abbiano ad
operare per
una sua
redenzione o
per fornire
spiegazione
e soluzione
ai disagi e
ai tormenti
della sua
anima
angustiata.
La terza è
la cieca
arroganza di
utilizzare
le forme e i
significanti
della "cultura"
moderna per
"leggere ed
interpretare"
il fluire
dell'Essere
nel Divenire.
Senza
minimamente
valutare i
gradi di
separazione
fra il suo
punto di
osservazione
e i tempi e
le menti che
hanno
partorito,
in questo
caso, una
trama
mitologica
che risale a
quasi venti
secoli fa.
Senza
colmare tale
divari, con
ampia dose
di umiltà e
pragmatismo,
l'uomo
moderno si
trova a
travisare
confondendo
forma e
contenuto, e
a proiettare
su tali
affreschi i
patemi, le
angosce e i
bisogni in
cui si
dibatte come
individuo,
oramai
divelto da
ogni
insegnamento
tradizionale
e immerso in
un flusso
caotico di
informazioni
parziali ed
illusorie.
Rimanendo,
in
definitivo,
prigioniero
di se stesso
Gli
antichi
gnostici
elessero a
mezzo
espressivo
la forma
mitologica,
essi
comunicavano
attraverso
immagini,
cercando in
tal modo di
conseguire
vari
obiettivi:
Il primo
permetteva
loro di
veicolare un
maggior
numero di
informazioni;
prendiamo ad
esempio
l'immagine
di una rosa,
essa per sua
stessa
natura
solletica i
sensi, e
attraverso i
sensi la
nostra
capacità
associativa.
Quindi con
una sola
immagine
vengono
richiamati
colore,
forma,
composizione,
periodo
dell'anno di
fioritura,
ed una serie
di
sensazioni
collegate ad
ognuno di
questi
elementi.
Il secondo
offriva uno
scrigno
simbolico a
chi aveva la
giusta
chiave
interpretativa;
gli ambienti
iniziatici
hanno spesso
elaborato
una sorta di
linguaggio
riservato
che non si
fondava su
di una
semplice
crittografia
del segno,
ma bensì di
una
crittografia
del senso.
Pensiamo
all'ermetismo
dei testi
alchemici,
che pongono
in profondo
imbarazzo
gli stessi
studiosi di
simbolismo o
di alchimia
moderna;
così gli
gnostici
attraverso
parole e
frasi di
apparente
significato
lineare,
offrivano
diversi
livelli di
lettura ai
propri
fratelli.
Il terzo
poneva a
disposizione
all'interno
della
comunità
elementi
simbolici,
onirici,
atavici,
archetipali
su cui
lavorare
tramite una
progressione
associativa
del profondo;
una sorta di
estasi
filosofica
tramite la
costruzione
del pensiero
ed il suo
radicarsi in
immagini,
con cui
sprofondare
lentamente
su di un
piano
profondo e
avulso dalle
logiche del
mondo
sensibile.
Per lo
gnostico
antico
niente
esisteva
tranne il
proprio
spazio
intimo o
laboratorio
interiore
(per chi
maggiormente
è abituato a
tale termine).
In tale
ottica deve
quindi
essere
trattata la
comunicazione
gnostica,
ossia una
serie di
miti cosmici,
con cui
affrescare
le membrane
psichiche
dello
gnostico, in
modo tale
che essi
siano il
giusto
alambicco
ove l'anima
e lo spirito
possano
trovare
giusta e
degna
unzione
celeste. Non
siamo in
presenza
della sola
capacità
dell'anima
di produrre
il mito (mitopoiesi),
ma della
possibilità
attraverso
il Mythos, e
non del
Logos, di
andare oltre
gli angusti
spazi della
dimensione e
della
dialettica
filosofica
umana.

SEZIONE
"GNOSTICISMO"