“Soprattutto
non
dimenticare
che questo
tabernacolo
è, come ti
ho già detto,
l’immagine
della forma
corporea del
minore.
Infatti vedi
se il
tabernacolo
del minore
non ha avuto
in sé
quattro
porte che
sono
raffigurate
da quello di
Bezalel e se
non c’è tra
loro un
perfetto
rapporto”.
“Da questa
stessa porta
penetrano
nell’uomo
gli spiriti
più sublimi,
sia buoni
che cattivi;
e, quando
hanno
disposto il
tabernacolo
in modo
adeguato,
secondo la
loro legge,
il minore si
unisce a
loro per
operare la
sua buona
volontà o
cattiva,
secondo la
sua libertà”
(Trattato
sulla
Reintegrazione
degli Esseri)
Con queste
parole
Martinez De
Pasqually
delinea i
confini del
simbolismo
del
tabernacolo
nel “Trattato
sulla
Reintegrazione
degli Esseri”,
opera che ad
oggi
costituisce
l’abc del
Martinismo,
di
conseguenza
sarebbe
opportuno
dedicare il
giusto
tempo, nel
proprio
percorso,
alla
riflessione
sul
simbolismo
in esso
contenuto.
Non sarà
tuttavia il
presente
lavoro ad
approfondire
le
riflessioni
sul tema,
piuttosto
l’immagine
delineata
nel Trattato
costituirà
lo spunto
per altre
riflessioni,
incentrate
sul senso e
sul metodo
che spesso
mancano
quanto ci si
approccia al
percorso
Martinista.
Il
grande
fraintendimento
del
Martinismo
nasce
dall’ignoranza
riguardo
alle sue
origini, al
punto tale
che, sin
dalla
nascita
dell’Ordine
Martinista,
esso è
divenuto
preda di
istanze che
sempre più
ne hanno
annacquato
il senso. Il
Martinismo
nulla
sarebbe
stato senza
l’esperienza
degli Eletti
Cohen e
senza la
successiva
mistica di
Louis-Claude
De
Saint-Martin.
Da queste
due
esperienze
scaturì la
rinascita
del Culto
Divino.
Il Culto
Divino è
l’unico e
centrale
strumento
del percorso
Martinista
per ottenere
la
Riconciliazione,
propedeutica
alla
Reintegrazione.
Queste sono
le linee
guida a cui
viene dato
ampio spazio
nel Trattato,
al punto
tale che
possiamo
considerare
questa
seminale
opera come
un continuo
ripetersi
degli stessi
concetti di
Caduta,
Riconciliazione,
Reintegrazione
e Culto
Divino.
Bisogna
essere
onesti e
considerare
che cosa
effettivamente
sia il
Martinismo,
e questo ci
porta a
riconoscere
quanto di
ciò che
viene
attuato
nelle
conventicole
del
Martinismo
moderno sia
assolutamente
scollato e
discrasico
rispetto al
percorso
delineato
dai Maestri
Passati.
Variamente
parlando, si
trova in
giro di
tutto, dal
cenacolo
filosofeggiante
e mistico,
alla
massoneria
impoverita,
dalla magia
cerimoniale
multi-identitaria
ad un vago
spiritualismo
condito di
Cabala ed
ermetismo
spicciolo.
Le congreghe
martiniste
contemporanee
limitano
pertanto la
propria
attività ad
un
indistinto
operare, ad
una non-esperienza
spirituale
disancorata
dall’autentica
ricerca
iniziatica.
Sono
del parere
che nulla
come il
Trattato e
le
successive
specifiche
di
Saint-Martin
e Willermoz,
abbiano
fornito le
chiavi
operative
per porre in
atto quella
scelta di
vita che è
il
Martinismo e
dovrebbe
peraltro
chiamarsi
Culto Divino.
Sarebbe
quasi
opportuno
abbandonare
la dicitura
“Martinismo”
per
sostituirla
infatti con
Culto Divino.
Ci
piace
scandalizzare
ed essere
contro
corrente
rispetto al
pensiero
dominante,
che nel
multiverso
martinista
si
estrinseca
più o meno
come sopra
descritto.
Vogliamo
dunque
lanciare
l’amo e
proporre un
parallelismo
con le
grandi
tradizioni
ecclesiastiche
cattolica e
ortodossa,
quanto meno
nella
visione più
alta ideale
che i grandi
teologi e
Padri della
Chiesa ne
hanno voluto
dare. Il
riferimento
va a queste
istituzioni
non solo per
la comune
radice
cristiana
che è anche
del
Martinismo e
più indietro
dell’esperienza
Cohen (ricordando
però che
Saint-Martin
successivamente
fu
fortemente
permeato
dalla
mistica di
Boheme che
tecnicamente
era
riformato e
non certo
cattolico),
ma anche
perché ciò
che
veramente
accomuna un
certo modo
di fare
Martinismo,
di matrice
martinezista
nello
specifico
dunque
rituale e
teurgica, e
le grandi
Chiese
cristiane
sacramentali
è per
l’appunto la
ritualità e
l’afflato
simbolico e
teurgico,
magari non (sempre)
nei
contenuti,
molto di più
nel metodo.
Per
metodo si
intende
dunque un
metodo
sacerdotale,
perché
solamente
tale può
essere se
votato al
Culto Divino.
Non a caso
dunque il
Trattato
sulla
Reintegrazione
degli Esseri
ri-narra il
mito di
Genesi ed
Esodo, in
quanto punta
a
estrinsecare
i tipi e le
simbologie
dell’archetipo
sacerdotale,
e nel
Martinismo
di radice
martinezista
sacerdote è
colui che,
riconciliato,
pone in atto
il Culto
Divino, così
come nel
cristianesimo
sacramentale,
sacerdote è
colui che
ripropone il
Culto Divino
dopo la
grande
svolta del
Riparatore,
ad un
livello
sublimato
rispetto ai
sacrifici
cruenti
dell’antico
culto. I
parallelismi
metodologici
tra il
Martinismo e
il
cristianesimo
cattolico-ortodosso
non
finiscono
qui. La
scala di
gradi del
Martinismo
ripropone in
qualche modo
il percorso
che porta un
laico
all’ordine
sacerdotale
nel
cattolicesimo.
Il percorso
di
avvicinamento
all’associazione
martinista
passa da un
lungo
periodo di
riflessione
che culmina
nella
Meditazione
dei 28
Giorni,
esercizio di
interiorizzazione
che
potenzialmente
svolge le
funzioni
degli
Esercizi
Spirituali
ignaziani,
quasi sempre
usati nel
percorso di
discernimento
che porta un
laico ad
abbracciare
la vita
religiosa.
L’associazione
martinista
ricorda la
tonsura che
indica il
formale
ingresso
negli ordini
minori del
sacerdozio,
con la
vestizione
della veste
talare nera,
il cui
simbolismo
si ritrova
nella
nerezza del
cordone da
Associato e
nel
simbolismo
della
maschera e
del mantello,
dove
l’identità
terrena
viene celata
nelle
tenebre per
compiere un
percorso di
riscoperta
della luce
divina
interiore.
Il
seminarista
inizia a
prendere
confidenza
con le
dinamiche
rituali (o
almeno ciò
accadeva
nell’organizzazione
ecclesiastica
secondo il
Vetus Ordo)
e nella
ritualità
collettiva
indossa la
cotta bianca,
analogamente
all’Associato
che indossa
l’alba solo
nei riti
collettivi.
La preghiera
quotidiana e
la
confessione
frequente
scandiscono
la
preparazione
del
seminarista,
insieme ad
un intenso
studio
intellettuale
non solo
della
teologia, ma
anche delle
discipline
che
costituiscono
il tesoro
dell’intera
tradizione (latino,
greco,
storia,
storia
dell’arte,
filosofia,
canto ecc);
l’Associato
scandisce la
sua vita
iniziatica
nel Rituale
Giornaliero
e nella
purificazione
mensile,
inoltre si
dedica ad
uno studio
di varie
materie che
dovrebbero
cementare le
conoscenze
intellettuali
(filosofia,
storia,
mitologia,
ecc). Il
Diacono,
primo grado
del
sacerdozio,
inizia a
compiere
semplici
sacramentali
ed esorcismi,
indossando
anche in
queste
ritualità
non
collettive i
paramenti
propri,
analogamente
all’Iniziato
martinista
che entra
definitivamente
nella catena
eggregorica
tramite il
sigillo
dell’iniziazione
e compie i
primi passi
nella
teurgia,
assimilabile
per metodi
alla
sacramentaria.
Come il
Diacono può
toccare i
vasi
consacrati
usati nella
liturgia
eucaristica,
così
l’Iniziato
possiede
strumenti
rituali
propri,
inoltre
l’Iniziato,
come il
Diacono,
diventa
punto di
riferimento
nell’istruzione
dei Fratelli
Associati e
nell’orientamento
al
discernimento
dei profani.
Il Diacono
che assurge
a Presbitero
entra in
possesso
delle
funzioni
sacerdotali
proprie, che
riguardano
la
benedizione
e la
capacità di
dispensare i
Sacramenti.
Ciò avviene
con il
legamento
delle mani e
la
sigillazione
con olio
consacrato
allo scopo,
da parte di
un Vescovo.
E’
importante
ricordare
come il
Sacramento
cristiano
sia una
emanazione
piena della
funzione
sacerdotale,
a differenza
del
sacramentale.
E’ solo il
Presbitero
che può
compiere il
rito
sacerdotale
per
eccellenza,
che è la
Messa, e
compiere la
transustanziazione.
Analogamente
il Superiore
Incognito
acquisisce
le potenze
sacerdotali
che lo
abilitano a
compiere i
rituali
equinoziali
e
solstiziali,
cioè ad
esorcizzare
e trasmutare.
Il Superiore
guida una
Loggia come
Filosofo,
così come il
Presbitero
coordina una
parrocchia,
inoltre
istruisce e
consacra gli
oggetti
rituali dei
FF Associati
e Iniziati
sotto le sue
cure, come
il
Presbitero
benedice
oggetti e
case delle
anime poste
sotto la sua
cura. Il
Presbitero,
su delega
del Vescovo,
in casi
eccezionali
può
dispensare
gli ordini
minori, così
come il
Superiore
Incognito,
su delega
del proprio
Iniziatore,
può
associare al
martinismo.
Il Vescovo è
il culmine
del
sacerdozio,
la piena
assimilazione
delle
potenze
sacerdotali,
che
abilitano il
consacrato
ad essere a
sua volta
consacratore
e a
trasmettere
le virtù
sacerdotali.
Inoltre il
Vescovo è
colui che
legifera
nella sua
diocesi e
sovrintende
il proprio
clero. Così
l’Iniziatore
Martinista è
colui solo
che può
creare altri
Iniziatori,
ed egli
sovrintende
con pieni
poteri alla
propria
giurisdizione,
prendendo
parte a
certe
dinamiche
eggregoriche.
Si
potrebbe
continuare
con
tantissimi
parallelismi,
ad esempio
ricordando
come nel
Martinismo
esistano “eremiti”
che decidono
di
percorrere
il cammino,
qualunque
sia il loro
grado, in
totale
solitudine,
come negli
ordini
monastici e
negli
eremitaggi
cristiani.
Tali
somiglianze
non sono
certo
causali, in
parte sono
il frutto di
un’evidente
ispirazione
che i
fondatori e
sviluppatori
del
Martinismo
hanno tratto
dal
cattolicesimo,
in parte
riteniamo
che il
modello, già
presente e
pregnante
nella
cultura dei
tempi degli
Eletti
Cohen, sia
irrinunciabile
per una
totale
sovrapposizione
di dinamiche,
se non altro
perché il
culto
cristiano,
depurato da
tutte le
variabili “umane
troppo umane”
a cui ogni
cosa di
questo mondo
è soggetta,
è in ultima
analisi il
Culto Divino
stesso, e
siamo ben
consci del
fatto che
tale
affermazione
susciterà le
incontrollabili
ire di
almeno 9
lettori su
10. Ma
tant’è, non
si cerca il
consenso,
che è fatto
per le capre,
bensì si
ritiene di
testimoniare,
e la
testimonianza
è per chi
sia pronto
ad ascoltare.
A
nostro
avviso il
fulcro di
tutta la
prassi e
l’iconografia
del Culto
Divino
martinezista
è nel
simbolo-icona
del
Tabernacolo.
Innanzitutto
va precisato
che tale
immagine non
è stata
inventata
dal
Pasqually,
bensì, come
ogni cosa
letta nel
Trattato, è
frutto di
una profonda
rielaborazione
dell’Antico
Testamento.
Il
Tabernacolo
si trova
negli
episodi
biblici e
rappresenta
la dimora
dello
Spirito di
Dio. Solo la
classe
sacerdotale
ha accesso
al Sancta
Sanctorum e
può
manipolare i
contenuti
dell’Arca.
Dopo gli
episodi
evangelici
che hanno
dato vita
all’evo
cristiano,
il
Tabernacolo,
come molto
di ciò che
apparteneva
alla
tradizione
religiosa
ebraica, è
trasceso a
simbolo di
ciò che
contiene il
Corpo di
Cristo,
sublimando
l’immagine
del sepolcro.
Il
Tabernacolo,
insieme
all’altare
di pietra
contenente
le reliquie
dei Santi, è
diventato il
fulcro del
tempio
cattolico-ortodosso,
e solo il
sacerdote
può toccare
l’altare e
aprire il
tabernacolo.
Queste
significazioni
ritornano
pienamente
nella
descrizione
che appare
nel Trattato
e che
condensa in
sé il tipo
della tenda
nel deserto
contenente
l’Arca e
dimora dello
Spirito di
YHVH e il
tipo della
discesa
dello
Spirito
Santo sugli
Apostoli nel
giorno di
Pentecoste.
Martinez
compie un
ulteriore
passo e
identifica
il
Tabernacolo
con il corpo
del Minore
riconciliato,
ricordando
le parole di
San Paolo: “Non
sapete che
il vostro
corpo è
tempio dello
Spirito
Santo?”
(1Cor 6,
19). E’ qui
che si
compie il
salto in
avanti
rispetto
alla
dimensione
religiosa, è
qui che si
sigilla il
metodo che
dovrebbe
caratterizzare
e orientare
il Culto
Divino,
senza che
esso si
sostituisca
alle
dimensioni
religiose.
E’ un metodo
profondamente
intimo,
vertiginosamente
interiore,
drammaticamente
iniziatico,
dove l’alto
e il basso,
il dentro e
il fuori, si
coagulano in
un solo ed
eterno qui
ed ora, con
buona pace
della scuola
guenoniana
della
tradizione
perenne. La
completa
assimilazione
dell’icona
Tabernacolo-Corpo
del Minore
concorre a
definire
l’armatura
che può
condurre
l’iniziato
nel cammino
verso la
Reintegrazione,
ricordando
che lo
stesso
Martinez fa
ben
intendere
che la
Reintegrazione
supera i
confini
stessi della
materialità,
e ad oggi le
uniche
concrete
prove della
trascendenza
della
materialità
sono nella
morte fisica.
I linguaggi
e metodi del
NVO
riprendono a
piene mani
la ritualità
degli Eletti
Cohen e si
appropriano
di linguaggi
comuni
all’esperienza
di un
esoterismo
occidentale
moderno,
specialmente
in
riferimento
alla
simbologia
cabalistica,
che comunque
non mancava
nel
background
di Martinez
e se
orientata in
una
determinata
direzione
può
concorrere a
non
estraniare
una
narrativa di
matrice
cristiana
rispetto a
parametri
teologici
tipicamente
ebraici. BE’
utile
inoltre
sottolineare
che il
cabalismo
ebraico era
probabilmente
nella mente
di Martinez
più di altre
teologie, lo
dimostrano
alcune
critiche che
nel Trattato
vengono
indirizzate
ad esempio
alla
teologia
cristiana
trinitaria.
Bisogna
d’altra
parte anche
riconoscere
come la
dottrina
Cohen sia
incompleta e
a tratti
incoerente,
e nelle
pagine di
Saint-Martin
e Willermoz
troviamo
spunti per
completarla,
sebbene più
in Willermoz
che in
Saint-Martin
prevalga una
visione
cattolica,
nello
specifico
cristologica.
L’uso che
nella nostra
ritualità e
simbologia
facciamo
della cabala
va però
orientato
nella
direzione
cristiana,
in quanto
non ci
occupiamo di
Cabala nel
contesto
della
ebraica.
La
visione
martinezista
del
Tabernacolo-Corpo
del Minore,
con le sue
porte
d’accesso,
può essere
usata per
orientare le
proprie
meditazioni
rispetto ad
esempio al
pantacolo
del NVO,
dove le
quattro
porte
d’accesso
sono le
quattro
lettere del
Tetragramma.
Il Minore
assurto a
Tabernacolo,
cioè a
Tempio del
Dio Vivente,
diviene
canale
aperto per
le potenze
spirituali
superiori,
così da
costruire la
formula
Pentagrammatica
con
l’attivazione
del Fuoco
Sacro nel
Sancta
Sanctorum,
che parlando
in termini
cristiani è
la discesa
dello
Spirito
Santo nel
Tempio-Uomo,
come lo
Spirito
Santo è
disceso
prima nel
ventre di
Maria poi
sul capo di
Gesù a
sigillare la
condizione
cristica, in
seguito sul
capo degli
Apostoli in
forme di
lingue di
fuoco dopo
la morte di
Gesù.
Martinez ci
ricorda
anche come
la porta
privilegiata
sia il cuore,
concetto
ripreso da
Saint-Martin
e presente
nell’iconografia
cristiana
del Sacro
Cuore. Il
cuore è
anche il
punto su cui
si concentra
la
meditazione
e
mantralizzazione
nella
tecnica
della “preghiera
del cuore”
tipica della
tradizione
esicasta
ortodossa.
Le prassi e
gli esercizi
che
accompagnano
la vita di
un membro
del NVO,
sintetizzate
in alcune
delle nostre
pubblicazioni
sia esterne
che interne,
sono solo un
modo per
coinvolgere
anche il
nostro lato
fisico
nell’assunzione
di questi
simboli. Un
sinergico
lavoro che
si dipani
tra
ritualità,
meditazione
profonda e
continua,
interiorizzazione,
sviluppo
dell’intelletto
e della
mente,
esercizio
ritmico di
mantralizzazione
e
visualizzazione,
consente di
fornire il
substrato
strutturale
adeguato per
orientarsi
completamente
verso uno
stato
dell’essere
in cui i
particolarismi
culturali e
intellettuali
si dissipano
progressivamente
per lasciare
spazio ad
una
consapevolezza
superiore,
non
esclusiva ma
inclusiva e
trasmutatrice
delle
proprie
esperienze.
La
condizione
sacerdotale
si innesca
in questa
trascendenza
che è al
contempo
presenza
fisica e
intellettuale
in ciò che
siamo e
facciamo, ed
è proprio in
virtù di
questa
condizione
che il
Sacerdote sa
captare le
influenze
dei mondi
spirituali
superiori,
sa
conservarle
nell’intimità
del proprio
Tabernacolo
e sa
elargirle
come sacri
tesori e
medicine di
guarigione,
con lo scopo
di aiutare i
Minori e
l’umanità
intera ad
ottenere la
Riconciliazione
attraverso
il Culto
Divino.
Questo
facciamo, o
dovremmo
fare, come
Martinisti,
solo questo.
Tutto il
resto sono
contributi
di contorno
e
strumentali,
e sarebbe di
conforto se
qualcuno
iniziasse a
prendere
tutto ciò in
seria
considerazione.

SEZIONE
"CULTO
DIVINO"