Vi sono delle
accuse che
sovente si fanno
all'Ordine
Martinista e tra
queste la
principale è che
troppo si
discute e poco
si opera in
senso verticale
come s'esso
fosse una specie
di teosofismo o
di circolo
spiritualista.
Vorrei subito
dire che per
quanto concerne
la mia
esperienza e la
mia conoscenza
ultraventennale
in questo campo,
tale giudizio
sommario è
piuttosto
immeritato.
E'vero,
diciamolo
francamente, che
in molti gruppi
non viene svolto
alcun lavoro, nè
orizzontale, nè
verticale
intendo, e che
molti Martinisti
non sanno
neppure cosa
voglia dire
Martinismo. In
altri
raggruppamenti
prevale il
devozionismo
verso qualche
Maestro passato,
vedi per esempio
il culto del
Maestro Filippo
in Francia, in
altri il lavoro
assume tinte ed
aspetti
massonici che
nulla hanno a
che vedere con
il nostro
Ordine.
Quale dunque
dovrebbe essere
la tipologia di
lavoro di un
gruppo se il
Martinismo
veicola qualche
cosa di valido?
E la risposta è
semplice:
iniziatica ed
operativa,
seguendo una
didattica che
non è quella del
mondo profano.
Iniziatica
quando esercita
una funzione
introduttrice ai
misteri mediante
la creazione di
un uomo "nuovo"
dapprima
"denudato", poi
"rivestito" poi
messo in
condizioni di
vedere e di
muoversi verso
la Luce sino ad
identificarsi
con essa
mediante i suoi
sforzi
personali.
Operativa quando
determina un
campo magnetico,
attraverso un
effettivo lavoro
di catena - che
ha delle regole
semplici, ma
rigidamente
meccaniche - e
non una catena
diciamo...
poetica,
sognante,
utopica (come è
in realtà in
certi tipi di
Ordini
iniziatici oggi,
anche Martinisti).
Tale campo
magnetico agendo
in armonia con
le forze
cosmiche, spinge
necessariamente
alla
realizzazione
della propria
reintegrazione
favorendo
l'ascenso e
contribuisce
alla
reintegrazione
universale.
Reintegrazione
individuale e
generale: i due
obbiettivi, i
due scopi
irrinunciabili
del Martinismo
di tradizione.
Ricordo un
lavoro di Sette
S:::I:::I::: dal
titolo
"Meditazione sul
Martinismo e sui
doveri dei
Martinisti" che
mi fece
personalmente
portare a
termine,
sull'onda delle
verità ivi
enunciate, degli
appunti sul
lavoro esoterico
che diffusi
ebbero un
notevole
successo.
Bene, in quella
meditazione di
Sette, sono
contenuti i
germi del senso
del lavoro
operativo
collettivo
dell'Ordine che
si allinea
(magari con
tecniche
differenti da
quelle adoperate
dai Martinezisti
della prima ora,
ma la tecnica è
un mezzo e non
uno scopo) e che
traduce
l'oscurità del
linguaggio di
Martinez, a
quell'Opera
invano tentata
dal Pasqually.
Ma sulla
tipologia del
lavoro
collettivo della
nostra Comunità
si parlerà
altrove, qui ci
limiteremo a
studiare quali
sono i limiti
cui porta il
Martinismo e se
limiti vi sono.
Praticamente lo
scopo del
Martinismo è
quello della
reintegrazione
individuale ed
universale. Su
questi scopi
dovremo
soffermarci, a
parer nostro,
per chiarire la
terminologia
usata e con essa
la problematica
che ci siamo
posti. Noteremo
innanzi tutto
che esistono due
scopi, l'uno
strettamente
legato all'altro
e
interdipendenti:
il primo è la
riconciliazione
e la
reintegrazione
individuale, il
secondo è la
reintegrazione
universale.
Questi termini
sono stati usati
dai nostri
Maestri e
scorrendo la
letteratura
Martinista si
incontrano
ovunque, essi
inoltre
coincidono con
altrettanti
termini e con
altrettanti
scopi dei gruppi
iniziatici più
riservati sia
occidentali che
orientali,
indipendentemente
dalle tecniche
da questi usate.
I termini
"riconciliazione"
e
"reintegrazione"
presuppongono
una scelta
iniziale che
l'iniziando
compie, quella
della
accettazione
puramente
teorica e quindi
non pratica e
pertanto
ipotetica delle
tre differenti
maniere di
cominciare a
considerare
l'essenza
dell'uomo.
Martinez de
Pasqually agiva
in un contesto
cristiano e
pertanto non
poteva
assolutamente
che usare una
didattica che
partisse
dall'abito
culturale dei
suoi adepti,
Louis Claude de
Saint Martin
viveva più
addentro in
questo habitat
ed accentua tale
aspetto, ma il
saggio deve
comprendere il
reale
significato
delle cose
attraverso i
veli e le nebbie
emananti dalla
umanità, dalla
sua cultura,
dalla
civilizzazione
che in "quel
momento" sta
vivendo.
In effetti sia
che si usi un
linguaggio od
un'altro le cose
non cambiano! Si
tratta solo di
prendere
coscienza, di
essere iniziati
al fatto che in
potenza ciascuno
qui in basso,
può porsi in
grado di
affermare "Io
sono Io, Colui
che è, che è
stato e che
sarà".
Il linguaggio
Martinista è
quello della
"caduta", il
linguaggio
Kabbalista,
adombrato nella
dottrina di
Martinez e
chiaramente
espresso nelle
sue tecniche è
quello della
"emanazione".
Ambedue
presuppongono un
ritorno.
E' su questo
"ritorno" su
questa
"ridivinizzazione"
di una essenza
degradata
attraverso non
importa quali o
quanti "piani" o
"sfere", che si
pone
l'interrogativo
che ora non
interessa più il
Martinismo come
dottrina, ma
l'Ordine come
organizzazione
in possesso di
una filiazione
iniziatica ed
agente mediante
questo ed in
virtù dei poteri
derivanti da
questa
filiazione.
La domanda "dove
porta il
Martinismo"
dovrebbe quindi
essere
ritrascritta
così: "Quale
contributo può
dare l'Ordine
Martinista al
processo di
reintegrazione
individuale ed
al processo di
reintegrazione
universale?".
Il compianto
Maestro Aloysius
così scrisse nel
'68 intervenendo
sul tema "I
doveri dei
S:::I:::I:::":
"La forma di
iniziazione
propria del
movimento
Martinista nel
mondo è di
essenza SACRALE,
nel senso che
l'iniziando,
accetando il
principio che lo
impegna
irrevocabilmente
al duplice
lavoro di
integrazione
individuale del
proprio Io e di
collaborazione
al lavoro di
integrazione
collettiva
dell'Universo e,
più
specificatamente,
della piccola
collettività
ch'egli riuscirà
ad organizzare
attorno a se, si
pone su di un
terreno di
azione, e di
potenziale
reazione,
Magicamente
Consacrato.
Il carattere
Sacrale è gia
acquisito in
potenza dal
profano
iniziando nel
momento della
associazione
all'Ordine...
diventa fenomeno
di impegno
operativo al
ricevimento del
3° grado le cui
caratteristiche
di acquisizione
sottintendono il
futuro
conferimento
della autorità
sacerdotale, che
diverrà
effettiva con il
4° grado con
l'acquisizione
delle facoltà di
trasmissione dei
poteri, facoltà
di carattere
certamente
sacerdotale.
...L'impegno
operativo
dell'Ordine
nella vita,
nella società,
nel mondo, in
via preliminare,
l'integrazione
della propria
personalità nel
più ampio dei
modi e dei
significati...
sino al
superamento
della
separazione e la
realizzazione
nel quadro
generale della
economia
evolutiva della
specie... la
seconda parte
dello stesso
dovere: sul
piano dei
rapporti sociali
e collettivi, è
l'inserimento
della propria
umana
personalità e
capocità nella
catena operativa
- fenomeno e
compito
primigenio nelle
funzioni del
nostro
Venerabile
Ordine - ...al
fine di
potenziare il
lavoro di
purificazione e
rigenerazione
della Vita
Umana, in senso
universale e
cosmico, come a
noi è
iniziaticamente
noto... ".
Questa citazione
tratta dal
lavoro del
Fratello
Aloysius ci
trova
perfettamente e
globalmente
d'accordo.
L'appartenenza
all'Ordine
comporta un
lavoro di
progressiva
sacralizzazione
dell'Uomo di
Desiderio (la
condizione
richiesta per
l'appartenenza
all'Ordine) che
viene marcata al
momento della
iniziazione al
3° grado quando
l'iniziando
viene posto
sulla Croce
Kabbalistica che
DEVE REALIZZARE
in se stesso
acquisendo la
effettiva
potenza di
Malkuth (il
regno), di
Geburah (la
giustizia), di
Chesed (la
misericordia).
Una volta
acquisita la
sacralizzazione,
essa viene
effettivamente
riconosciuta con
il conferimento
del potere di
trasmissione nel
4° grado. Ma il
cammino, l'iter
iniziatico è
terminato?
Termina qui?
No,
assolutamente.
Già i riti
individuali
inseriti sin dal
primo grado, e
gli altri, fanno
presagire che il
membro
dell'Ordine deve
proseguire
oltre,
attraverso una
sua ascesi
personale,
attraverso delle
tecniche
particolari che
l'iniziatore gli
potrà o no
affidare e che
necessariamente
si basano
sull'albero
della vita il
pentacolo a noi
giunto dalla
tradizione
kabbalistica, ma
che sicuramente
trae origini
dall'Egitto,
dalla Caldea
ecc... e che,
come tale,
scrive Ambelain,
non ha potuto
subire quelle
alterazioni o
quelle
deformazioni cui
possono andare
incontro dei
testi.
In questo
pentacolo che
esprime le
differenti tappe
della creazione
e della
incarnazione
dello "spirito"
nella materia e
del suo ritorno
alla fonte
primigenia,
nonchè le sfere
di influenza
dell'Universo
sull'uomo, il
Martinista o
meglio l'Adepto,
in virtù della
legge delle
analogie potrà
ritrovare quelle
chiavi che gli
permettono
l'identificazione
con il SE, il
suo Angelo o il
suo Demone,
tappa questa
unica e
fondamentale per
la effettiva
realizzazione
della
riconciliazione
individuale e
della
reintegrazione
universale.
I testi
"Abramelin le
mage" tradotto
da Ambelain in
lingua francese
e "La Kabbale
pratique" dello
stesso Ambelain
danno le chiavi
e le tecniche.
Dove porta
l'Ordine
Martinista
dunque?
Risponde
Stanislao de
Guaita: "Tu sei
un Iniziato: sei
uno che gli
altri hanno
messo sulla via;
sforzati di
divenire un
Adepto".
L'Ordine
Martinista porta
innanzi sulla
via, porta alla
comprensione
delle cose oltre
il "velo", porta
sino alla soglia
dell'adeptato,
non porta oltre,
anche se il
Martinismo,
attraverso i
suoi Autori,
delinea
chiaramente le
mete ultime,
anche se
Martinez tentò
di dare una via
operativa, oggi
impraticabile
nella sua
globalità come
ben comprese
Ambelain intorno
agli anni '60.
Il Soro traccia
dei quadri della
tradizione
occidentale
interessanti
anche per le
loro
corrispondenze
ma dai suoi
quadri emerge
una conferma
ancora che
l'Ordine ha i
suoi limiti sia
pure
indefinibili.
Malgrado ciò,
credo fermamente
che se una sola
persona ogni
milione di
abitanti della
terra,
realizzasse solo
gli scopi
pratici
dell'Ordine e
non quelli
teorici del
Martinismo
l'itera umanità
vivrebbe in una
era di serenità
e di pace
profonda, oggi
addirittura
impensabile.
Voglio
concludere che
lo studio
approfondito dei
rituali di
iniziazione e
delle tecniche
note mi fanno
affermare che
l'Ordine
conferisce ai
suoi membri:
- una
iniziazione
oggettiva
caratterizzata
dall'introduzione
dell'Uomo di
desiderio in un
nuovo mondo ed
in una nuova
dimensione
mediante la
creazione del
legamento
iniziatico che
termina con la
trasmissione del
Sacramento
dell'Ordine e
con la potestà
sacrale di
poterlo a sua
volta conferire.
- La possibilità
di una
iniziazione
soggettiva,
realizzantesi
cioè in virtù
del lavoro e
delle
applicazioni
pratiche
dell'iniziato
che lo porta
sino alla soglia
dell'Adeptato,
sino cioè alla
soglia della
realizzazione
ultima.
Qui finisce la
missione
dell'Ordine
Martinista.
Tale missione si
estrinseca
mediante:
a) la
trasmissione
fisica da
Iniziatore ad
Iniziando delle
energie
eggregoriche,
che avviene
durante i
differenti riti
di Iniziazione
(il legamento);
b) la
trasmissione di
una dottrina che
è quella
contenuta nei
rituali e che
deve essere
sviluppata da
ciascuno
mediante una
ricerca, uno
studio ed una
applicazione
costante;
c) il simbolismo
che rinserra
parte della
dottrina e parte
delle tecniche,
prima tra queste
la
introspezione,
la
purificazione,
la meditazione
ecc...;
d) i riti di
catena (che
possono essere
variati in ogni
momento senza
pertanto
comportare una
variazione nella
sostanza e nello
scopo dei riti
di catena
stessi) con
l'inevitabile
effetto traente
dell'Eggregoro e
la rivelazione
degli Arcani;
e) i riti
individuali
trasmutatori
dopo la
rivelazione.
Questa è la
nostra risposta
alla domanda:
"Dove porta il
Martinismo?"